lunedì 30 settembre 2013

La catastrofe Italia e i veri scopi dell’élite capitalista (di Giovanni Potente)



Pubblicato sul Quotidiano della Calabria domenica 29 settembre 2013 col titolo

La catastrofe Italia e i veri scopi dell’élite capitalista



di Giovanni Potente

La rielezione della Merkel ci riguarda da vicino. La Cancelliera ha messo i temi europei al centro della sua campagna elettorale. Affermando che «se l’Europa è debole, anche la Germania lo è». Il ragionamento fila. La Germania ha l’economia più forte del continente. Quella che esporta di più. Ed esporta soprattutto in Europa. Una Europa impoverita, non più in grado di acquistare i suoi prodotti, potrebbe crearle problemi. Allo stesso tempo, la Merkel ha ribadito di rifiutare «la condivisione del debito europeo». Punti fermi del suo programma sono: mantenere l’euro, rafforzare l’integrazione finanziaria europea (togliere sovranità in materia di economia e fisco ai singoli Paesi e conferirla alla UE) e pretendere dagli Stati dell’Unione ancora rigide politiche di tagli alla spesa pubblica.

Ma quali sono gli effetti reali della moneta unica e dell’austerity imposta dalla Troika (BCE, Commissione Europea e FMI) e volute anche dalla Merkel, in particolare su Paesi quali Grecia, Portogallo, Spagna, Italia e Francia? Gli Stati devono comprare il denaro dalla BCE, pagandoci fior di interessi. Il loro "debito pubblico" aumenta esponenzialmente. Le misure di "rigore" e le privatizzazioni imposte dall’Europa servono per ripianare un "debito" in buona parte determinato dalla stessa moneta unica europea. Finisce che i Governi nazionali svendono le aziende statali a privati (spesso stranieri, come i cinesi che hanno rilevato il porto del Pireo) e smantellano lo "stato sociale", decurtando gli investimenti per sanità, infrastrutture, servizi, scuola ecc. e bloccando o riducendo stipendi e pensioni. Con drammatiche ricadute sulle famiglie.

Nell’Europa meridionale l’euro è una delle concause anche della crisi delle imprese private. Il caso italiano è emblematico. L’euro si è rivelato troppo forte, facendo crollare commesse ed esportazioni. Intanto la pressione fiscale resta elevata (nonostante l’evasione) e le banche negano finanziamenti a migliaia di imprenditori, costringendoli a fallire. La nostra industria è al collasso. Nel solo Nord-Est di recente hanno chiuso 13mila imprese. Quelle che non falliscono le perdiamo. La vicenda Telecom è solo la più clamorosa. Già 500 fra i più importanti marchi italiani sono stati svenduti a prezzi stracciati ad acquirenti stranieri. Di rado sono normali investimenti. Più spesso sono losche operazioni finanziarie, che finiscono con la chiusura delle aziende e il licenziamento di centinaia di persone. Ancora più spesso gli stranieri approfittano di poter comprare a prezzi di comodo le nostre imprese semplicemente per eliminarne la concorrenza. Ed anche in questo caso le chiudono.

La rovina dell’imprenditoria privata aumenta la disoccupazione e dissangua ancora di più le famiglie. Si innesca un circolo vizioso. Ci sarà una nuova contrazione dei consumi e della domanda interna, che unita a quella delle esportazioni darà il colpo di grazia all’industria. Determinando nuovi licenziamenti. E nuova povertà, che farà diminuire ulteriormente i consumi. E così via.

Oltre al danno, la beffa. I tagli voluti dalla Troika non hanno ridotto il debito pubblico. Al contrario, lo hanno fatto aumentare ovunque. In Italia, i due anni di sacrifici e di politiche "lacrime e sangue" praticate dai Governi Monti e Letta hanno sortito il seguente risultato: nel 2011 il debito pubblico ammontava al 120,8% del PIL e i disoccupati erano 2 milioni e 108mila. Ora il debito pubblico è salito al 131,4% del PIL, una cifra da default, e si conta un milione di disoccupati in più (3 milioni e 46mila).

I fatti, dunque, dimostrano che la moneta unica e le politiche di austerity imposte dalla Troika sono inutili e deleterie. E comportano il drastico impoverimento di mezza Europa. Proprio quello paventato dalla stessa Merkel.

Eppure le Istituzioni europee -e la Cancelliera tedesca- continuano ad imporle E i Governi, come quello italiano, ad applicarle. Perché? Perché la Merkel sta consapevolmente contribuendo ad immiserire il principale mercato dei prodotti tedeschi? Perché l’Unione Europea sta fattivamente rovinando i Paesi meridionali? E perché i Governi di questi Paesi si prestano allo scopo? Può trattarsi di un colossale abbaglio? No. Al contrario. È una strategia pianificata. Dalle lobby della grande finanza e dell’industria. Dall’élite capitalista internazionale e dell’imperialismo "atlantico" (anglo-americano). Risale ai primi anni ’90. Mira a riorganizzare il sistema capitalista in Europa dopo il crollo del Comunismo e a ridefinire gli equilibri continentali. E ha tre obiettivi interconnessi. Il primo è ridurre il costo del lavoro, smantellare il sistema dei diritti dei lavoratori e creare una riserva illimitata di disoccupati e precari. Per arricchire ulteriormente i padroni e ridurre i lavoratori ad una massa di semi-schiavi, perennemente ricattabili (della serie: "o accetti le nostre condizioni o vai a casa, tanto c’è la fila per prendere il tuo posto"). Il secondo è garantire il dominio della Germania. Il terzo è appunto distruggere l’Europa meridionale attraverso la trappola dell’euro e poi l’austerity. Per poi consentire alle banche e alle multinazionali straniere di prendersela pezzo a pezzo (beni pubblici, tessuto industriale: tutto). Per farne quindi un bacino di mano d’opera a basso prezzo e senza diritti per i nuovi padroni del Nord. Ed infine per liberare la Germania dalla scomoda concorrenza industriale e commerciale di Paesi come l’Italia. Che prima dell’euro era la quinta potenza mondiale. Ed ora, con l’euro, è un Paese in declino, che costringe la sua gente (pure tecnici e laureati) ad emigrare in massa. Magari a pulire cessi tedeschi.

Questa è la strategia che l’Unione europea e i Governi nazionali stanno operativamente realizzando sul campo. Perché sembrano "istituzioni democratiche". Non lo sono. Sono di fatto enti privati, occupate e controllate dalle lobby internazionali. Di cui sono lo strumento politico e legislativo, curandone gli interessi e realizzandone operativamente le strategie.

Per questo la Merkel paventa l’indebolimento dell’Europa, cioè del principale mercato dei prodotti tedeschi, ma insiste nel pretendere il "rigore" che devasta mezzo Continente. I suoi timori per l’ "Europa indebolita" sono menzogne di facciata. Lei sa che l’euro e l’austerity assicurano enormi profitti e benefici alle banche e alle industrie tedesche (favorite anche dalle politiche protezionistiche di Berlino). Sa che la Germania troverà nuovi mercati mondiali quando gli europei non riusciranno più a comprare i suoi prodotti. E sa che parteciperà in prima fila alla spartizione delle nostre spoglie.

E sempre per realizzare le strategie delle lobby straniere, di cui è evidentemente al soldo, la classe dirigente italiana degli ultimi 20 anni (da Amato a Prodi, da D’Alema a Berlusconi e Monti) ha lucidamente contribuito alla nostra catastrofe. Ficcandoci nella trappola dell’euro e privatizzando i beni pubblici. Ed applicando il "rigore" voluto dalla Troika. Fino ad oggi. Fino al governo di Enrico Letta: ultimo, grigio e solerte esecutore della nostra condanna. Saldamente avallato dal "grande vecchio" del Quirinale e da tutto il PD. Che va negli USA a dare conto del suo operato direttamente ai padroni: cioè al Council on Foreign Relations. Non un ente pubblico, ma la maggiore organizzazione privata americana di banche e multinazionali.

Eppure, come spiegano tanti analisti – economisti, imprenditori, sindacalisti – l’Italia potrebbe ancora salvarsi: uscendo immediatamente dall’euro, ripristinando la moneta nazionale (che favorirebbe la ripresa delle esportazioni, quindi della produzione e dell’occupazione), rinegoziando i patti-capestro siglati con la Troika e abbandonando ogni politica di austerity per iniziare, al contrario, grandi investimenti statali che rimettano in moto l’economia. Insomma: dovrebbe andare nella direzione opposta a quella cui ci stanno portando.

Ma chi e come dovrebbe fare le uniche cose che ci possono salvare? Come intaccare il sistema di omertà e collusione che conduce alla rovina il nostro Paese? Vengano dalla "società civile", se ancora esiste, le possibili proposte. Per ora passo e chiudo. Sperando di avere alimentato il dibattito in merito.

GIOVANNI POTENTE Università della Calabria (giovanni.potente@unical.it)

 

sabato 28 settembre 2013

ELOGIO ALL’OTTIMO COMPORTAMENTO DI UN’IMPIEGATA DELL’UFFICIO POSTALE DI CASTIGLIONE COSENTINO (CS).

ELOGIO ALL’OTTIMO COMPORTAMENTO DI UN’IMPIEGATA DELL’UFFICIO POSTALE DI CASTIGLIONE COSENTINO (CS).

Stamattina, sabato 28 settembre 2013 verso le ore 09:00, nell’Ufficio Postale di Castiglione Cosentino (CS), sono rimasto POSITIVAMENTE IMPRESSIONATO (e, quando è arrivato il mio turno e sono quindi andato allo sportello, all’interessata - peraltro lavoratrice precaria, part-time - ed alla direttrice dell’Ufficio l’ho manifestato pubblicamente, ad alta voce, facendo in modo che tutti gli utenti in fila, presenti in sala in quel momento, sentissero…ed, in effetti, tutti loro hanno annuito in segno di approvazione) dal comportamento assai gentile e disponibile all’aiuto, quindi “umano” senza ombra di dubbio, che l’impiegata allo sportello, una giovane signorina (peraltro, a quanto ne sò, ancòra studentessa universitaria…), ha avuto nei confronti di un utente un po’ anziano ed inesperto, nel senso che era andato a spedire una lettera (su incarico del figlio, a suo dire…) che però doveva essere “raccomandata con ricevuta di ritorno”, allora l’impiegata gli ha chiesto dov’erano le ricevute compilate di spedizione e di ritorno, lui ha detto che non le aveva e non ne capiva niente, la signorina gli ha dato i due modellini da compilare, lui ha chiesto se per favore glieli poteva compilare lei, e lei - anziché rispondere, con tono altezzoso ed insofferente, “non è compito mio, si faccia da parte e si faccia aiutare da qualcuno a compilarli!”, come spesso e volentieri, per non dire sempre, mi capita di sentir dire nei vari uffici pubblici, postali e non - si è presa la busta da spedire ed i modelli ed ha compilato, in un minuto, tutto lei, facendo così ben oltre il suo dovere, e poi ha completato l’iter con il suo normale lavoro “tecnico” di spedizione della raccomandata…

E’ un piccolo gesto (come disse l’astronauta americano Neil Armstrong, primo uomo a mettere piede sulla luna, il 21 luglio 1969, ora italiana, “Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l‘Umanità”…“
That's one small step for [a] man, one giant leap for mankind”), ma che mi ha fatto molto piacere veder compiere in un ufficio pubblico in aiuto di una persona anziana e bisognosa d’aiuto…

Tanto è vero che ho anche detto - lì in pubblico, rivolto all’impiegata - che “se dipendesse da me, farei lavorare tantissimo i GIOVANI volenterosi come lei e manderei in pensione gli impiegati più anziani”… Ora aggiungo che, detti GIOVANI, non li lascerei di certo a casa a diventar “vecchi” senza far nulla di utile e - quindi - senza produrre né guadagnare alcunchè, come purtroppo ormai da tantissimo tempo qui in Italia - grazie ai nostri “governanti“ - accade… E vengono pure chiamati “bamboccioni”… (E la Fornero, ex ministro del passato governo Monti, li apostrofò pure “Siete troppo choosy”…nonostante la figlia avesse ben DUE posti fissi… Vergogna!)

Addì 28 settembre 2013.
Salvatore Bruno Bossio



 

mercoledì 25 settembre 2013

SENZA IMPRESA NON C'E' RIPRESA....! E SENZA PERSONE NON C'E' NE' STATO, NE' EUROPA, NE' BCE, NE' BANCHE, NE' NULL'ALTRO!!!


SENZA IMPRESA NON C'E' RIPRESA....!
E SENZA PERSONE NON C'E' NE' STATO, NE' EUROPA, NE' BCE, NE' BANCHE, NE' NULL'ALTRO!!!


http://salvatorebrunobossio.blogspot.it/2013/05/luomo-prima-di-tutto.html


https://www.facebook.com/notes/salvatore-bruno-bossio/luomo-prima-di-tutto-viva-la-sovranita-monetaria-e-parlamentare/4167837053529























La Germania ha barato, così la Merkel ha vinto. Spiegato a voi.

La Germania ha barato, così la Merkel ha vinto. Spiegato a voi.


Merkel vince. La domanda è: perché i tedeschi l’hanno premiata? E’ una domanda seria, dal momento in cui la Germania non sta affatto bene in salute, e i tedeschi meno che meno. E’ un Paese con stipendi stagnanti da oltre 10 anni, che non ha investito in infrastrutture per 20 anni, che ha tagliato impietosamente il costo del lavoro per poter esportare, dove la bassa disoccupazione nasconde milioni di lavoretti sottopagati e con poche tutele sociali, dove la sbandierata produttività è una balla, infatti la produttività tedesca pro capite è la più bassa dell’OCSE, dove le banche sono al limite del fallimento o stracariche di derivati tossici pronti ad esplodere. E allora cosa è successo? Semplice: illusione ottica.

Torniamo al 2002, l’anno di entrata in vigore della moneta unica euro. Gli Stati aderenti all’Eurozona cedono la loro sovranità monetaria (le monete nazionali) e adottano una moneta di proprietà della Banca Centrale Europea, la quale la emette ‘versandola’ nelle riserve dei mercati di capitali privati (banche, e da queste altri istituti finanziari). I mercati di capitali privati hanno gli euro. Gli Stati dell’Eurozona a questo punto, per avere gli euro da spendere, devono vendere titoli di Stato ai mercati di capitali privati. Ok. Questi mercati si tutelano ovviamente dal rischio che gli Stati non possano poi onorare (ripagare con gli interessi) quei titoli che stanno comprando. Quindi cosa fanno i mercati di capitali privati? Guardano i conti degli Stati dell’Eurozona e chiaramente prestano gli euro più volentieri a chi ha meno debito pubblico. Cioè, gli prestano gli euro con un tasso d’interesse più basso, mentre, per tutelarsi dal rischio bancarotta, prestano agli Stati con alti debiti, o con economie meno ricche, gli euro a tassi molto più alti. Quindi la Germania inizia fin dal 2002 a potersi finanziare a tassi più bassi che molti altri Paesi dell’Eurozona, un divario che crescerà drammaticamente dal 2010 in poi, e questo la avvantaggia.

Ora riguardiamo un passaggio, questo: “Questi mercati si tutelano, ovviamente, dal rischio che gli Stati non possano poi onorare (ripagare con gli interessi) quei titoli che gli stanno vendendo. Quindi cosa fanno i mercati di capitali privati? Guardano i conti degli Stati dell’Eurozona e chiaramente prestano gli euro più volentieri a chi ha meno debito pubblico”. Domanda: perché io, mercato di capitali, temo che l’Italia con alto debito mi possa fare bancarotta, mentre la Germania con basso debito no? Pensate a questo esempio: io mercato di capitali sono a credito di soldi da un tizio che ha debiti per milioni e milioni, ma sto tizio ha tutti i soldi necessari a ripagarmi. Ok, io sono tranquillo. Che me ne frega se ha debiti altissimi? Tanto ha tutti i soldi necessari a ripagarmi. E allora perché i mercati di capitali privati hanno temuto che gli indebitatissimi l’Italia, la Grecia, o il Portogallo facessero bancarotta, caricandoli quindi di alti interessi per tutelarsi? Ovvio: perché AVENDO RINUNCIATO ALLA LORO SOVRANITA’ MONETARIA, cioè alla possibilità di emettere le loro monete senza limiti, oggi i tanto indebitati Italia, Grecia o Portogallo sono come quel tizio con debiti per milioni ma NON PIU’ tutti i soldi necessari a ripagarli.

Oggi per ripagare i debiti, l’Italia, la Grecia, o il Portogallo e altri, devono sempre andare in prestito dagli stessi mercati di capitali privati a cui poi devono ripagare i precedenti debiti. Ma i mercati di capitali privati possono a un certo punto impaurirsi per sta catena di debiti su debiti, e smettere di dargli i soldi, per cui l’Italia, la Grecia, o il Portogallo possono fallire, e smettere di ripagare i debiti con quei mercati di capitali privati. E allora i mercati di capitali privati chiedono all’Italia, alla Grecia, Spagna, Irlanda o al Portogallo tassi d’interesse molto alti per tutelarsi dal rischio fallimento di quegli Stati. Ma non alla Germania, o alla Francia che hanno debiti minori.

Allora, qual è il punto ovvio? Che non è l’alto debito degli Stati che ha causato il fatto che i mercati di capitali privati ci prestassero a tassi molto più alti che alla Germania, ma il fatto che quegli Stati con alto debito HANNO PERSO LA LORO ABILITA’ DI RIPAGARE OGNI DEBITO SENZA PROBLEMI PERCHE’ HANNO PERDUTO LA LORO ABILITA’ DI STAMPARE MONETA SENZA LIMITI QUANDO RINUNCIARONO ALLE LORO MONETE SOVRANE A FAVORE DELL’EURO. Prima, quando lo stesso avevano alti debiti ma avevano la propria moneta per ripagarli, non esisteva nessuna crisi, né problema di spread, né panico.

Cioè, cari lettori, il dramma è l’adozione dell’euro, non i debiti alti. Questo i mercati di capitali privali lo capirono subito, e lo dissero subito.

Immaginate una metafora per essere ancora più chiaro: tutti gli Stati sono alla linea di partenza per i 100 metri, e ciascuno ha attaccato a un piede un foglio di carta velina con disegnata una palla di piombo che rappresenta il debito pubblico. Qualche Stato ha un disegno più grande, altri più piccolo, ma sono sempre pezzi di carta velina. Questa condizione rappresenta gli Stati prima dell’euro, quando le dimensioni del debito pubblico ERANO IRRILEVANTI, perché con le loro monete sovrane lo potevano sempre ripagare, e quindi i mercati di capitali privali non si preoccupavano. Ma immaginate che di colpo, a causa dell’arrivo dell’euro, quei disegni di carta velina si trasformano in vere palle di piombo, vero metallo non carta. Questa condizione rappresenta gli Stati che con l’adozione dell’euro devono andare a prestito dai privati per ripagare il debito, non possono più emettere la loro moneta. E’ chiaro che a questo punto la gara è viziata dalle dimensioni della palla di piombo, e la Germania, che sulla carta ce l’aveva più piccola e ora è più piccola anche in piombo, adesso sa di poter vincere, mentre prima no, perché la grandezza della palla non contava essendo solo un disegno su carta. Infatti PRIMA dell’euro l’indebitatissima Italia era la PRIMA POTENZA INDUSTRIALE d’Europa, ma dopo l’euro è diventata la penultima.

Quindi è ovvio che all’inizio della gara dell’Eurozona la Germania è partita avvantaggiata da subito, e a Berlino lo sapevano che questo gli sarebbe andato a favore. Noi stupidi italiani manco ci abbiamo pensato.

E arriviamo alle elezioni. La Germania è messa male, ma rispetto a Italia o Spagna o Irlanda o Grecia (e ora anche Francia) è messa molto meglio a causa appunto di quella gara truccata. I cittadini tedeschi, che ignorano i meccanismi sopra descritti, hanno semplicemente pensato: “Bé, c’è una crisi generale, che ha colpito un po’ anche noi, ma gli altri sono messi moooolto peggio, per cui il merito deve essere della Merkel che ci ha traghettati attraverso la crisi stando primi in classifica. Ok, la votiamo”. Questo è successo. I tedeschi ignorano che la Germania è messa un po’ meglio solo per merito della gara truccata, e non dei politici, e ignorano che senza l’euro è probabile che anche loro starebbero meglio in tutto.

Spero sia chiaro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

martedì 24 settembre 2013

SOLIDARIETA' AL COMBATTENTE ROBERTO CORSI, COMMERCIANTE DI ABBIGLIAMENTO, DI TAVERNA DI MONTALTO UFFUGO (CS)...

STAMATTINA TRA LE 08:30 E LE 09:00 CIRCA HO ASCOLTATO LA TRASMISSIONE DI MILAN SU RADIO24...C'ERA L'AMICO ROBERTO CORSI DI TAVERNA DI MONTALTO UFFUGO (CS) AD ESSERE INTERVISTATO (come saprete, lui, commerciante di abbigliamento da - se non erro - 26 anni o poco più - da 105 gg. circa, sta facendo lo sciopero fiscale contro lo Stato ladro, che lascia morire i propri cittadini di fame e non li aiuta minimamente...)....
ROBERTO CORSI, UN GRANDE! A LUI VA' TUTTA LA MIA COMPRENSIONE, APPOGGIO E SOLIDARIETA'...ALTRO CHE IL GIUDICE IN PENSIONE DR. TINTI, OSPITE IN TRASMISSIONE, CHE LO HA DEFINITO UN DELINQUENTE....I VERI DELINQUENTI SONO QUELLI (PRODI & C.) CHE NEL 2002 CI HANNO ROVINATI BUTTANDOCI NEL MALEDETTO EURO!), LORO - COME DICE SEMPRE PAOLO BARNARD - ANDREBBERO PROCESSATI E CONDANNATI PER L'ECONOMICIDIO PERPETRATO, PER I CRIMINI CONTRO L'UMANITA' (I CITTADINI ITALIANI) COMMESSI....!!! ALTRO CHE I POVERI CRISTI COME ROBERTO CORSI E TANTISSIMI ALTRI ITALIANI, MIGLIAIA E MIGLIAIA ORMAI IN ITALIA, COSTRETTI A SCEGLIERE TRA IL PAGARE LE TASSE ED IL COMPRARE IL PANE PER SE' E PER I PROPRI FIGLI...
MENO MALE CHE LA ON.LE GIULIA SARTI, DEL M5S, ANCHE LEI OSPITE IN TRASMISSIONE, HA MOSTRATO COMPRENSIONE (COME TEMPO FA L'ON.LE FASSINA DEL PD E, DA SEMPRE, IL PRESIDENTE BERLUSCONI...), PER TUTTI QUELLI COME ROBERTO CORSI, IO DIREI COME NOI TUTTI ORAMAI....POVERI DISGRAZIATI....COSTRETTI A SCEGLIERE DI CHE MORTE MORIRE, COL FUTURO ORMAI RUBATO, SVANITO, BRUCIATO....!!!

VIVA "L'UOMO PRIMA DI TUTTO!"
SALVATORE BRUNO BOSSIO


https://www.facebook.com/notes/salvatore-bruno-bossio/solidarieta-al-combattente-roberto-corsi-commerciante-di-abbigliamento-di-tavern/4733826762918


https://www.facebook.com/photo.php?fbid=567912319940822&set=a.371299582935431.85770.272158329516224&type=1&theater


https://www.facebook.com/pages/Viva-il-ritorno-allItalia-Libera-e-Sovrana/369229673208411



Roberto Corsi di Taverna di Montalto Uffugo (CS)...guardare ed ascoltare dal 10° al 20° minuto iniziale all'incirca:
http://www.video.mediaset.it/video/quinta_colonna/full/409200/puntata-del-23-settembre.html












lunedì 23 settembre 2013

Il monito degli economisti: Continuando così l’Europa deflagrerà

Il monito degli economisti: Continuando così l’Europa deflagrerà

angela-merkel
Nello stesso giorno in cui i media celebrano la vittoria di Angela Merkel in Germania, il Financial Times pubblica un testo che interpreta molto diversamente la fase e che guarda più avanti: è “Il monito degli economisti” (“The Economists’ Warning”), un documento promosso dagli italiani Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo (Università del Sannio) e sottoscritto da alcuni tra i principali esponenti della comunità accademica internazionale, appartenenti a varie scuole di pensiero: tra di essi Philip Arestis (University of Cambridge), Wendy Carlin (University College of London), James Galbraith (University of Texas), Mauro Gallegati (Università Politecnica delle Marche), Eckhard Hein (Berlin School of Economics and Law), Alan Kirman (University of Aix-Marseille III), Jan Kregel (ex capo dell’ufficio Finanziamenti per lo sviluppo dell’ONU), Dimitri Papadimitriou (presidente del Levy Economics Institute), Pascal Petit (Université de Paris Nord), Dani Rodrik (Institute for Advanced Study, Princeton), Willi Semmler (New School University, New York), Tony Thirlwall (University of Kent) ed altri.

Il monito degli economisti
Financial Times, 23 settembre 2013
La crisi economica in Europa continua a distruggere posti di lavoro. Alla fine del 2013 i disoccupati saranno 19 milioni nella sola zona euro, oltre 7 milioni in più rispetto al 2008: un incremento che non ha precedenti dal secondo dopoguerra e che proseguirà anche nel 2014. La crisi occupazionale affligge soprattutto i paesi periferici dell’Unione monetaria europea, dove si verifica anche un aumento eccezionale delle sofferenze bancarie e dei fallimenti aziendali; la Germania e gli altri paesi centrali dell’eurozona hanno invece visto crescere i livelli di occupazione. Il carattere asimmetrico della crisi è una delle cause dell’attuale stallo politico europeo e dell’imbarazzante susseguirsi di vertici dai quali scaturiscono provvedimenti palesemente inadeguati a contrastare i processi di divergenza in corso. Una ignavia politica che può sembrare giustificata nelle fasi meno aspre del ciclo e di calma apparente sui mercati finanziari, ma che a lungo andare avrà le più gravi conseguenze.
Come una parte della comunità accademica aveva previsto, la crisi sta rivelando una serie di contraddizioni nell’assetto istituzionale e politico dell’Unione monetaria europea. Le autorità europee hanno compiuto scelte che, contrariamente agli annunci, hanno contribuito all’inasprimento della recessione e all’ampliamento dei divari tra i paesi membri dell’Unione. Nel giugno 2010, ai primi segni di crisi dell’eurozona, una lettera sottoscritta da trecento economisti lanciò un allarme sui pericoli insiti nelle politiche di “austerità”: tali politiche avrebbero ulteriormente depresso l’occupazione e i redditi, rendendo ancora più difficili i rimborsi dei debiti, pubblici e privati. Quell’allarme rimase tuttavia inascoltato. Le autorità europee preferirono aderire alla fantasiosa dottrina dell’“austerità espansiva”, secondo cui le restrizioni dei bilanci pubblici avrebbero ripristinato la fiducia dei mercati sulla solvibilità dei paesi dell’Unione, favorendo così la diminuzione dei tassi d’interesse e la ripresa economica. Come ormai rileva anche il Fondo Monetario Internazionale, oggi sappiamo che in realtà le politiche di austerity hanno accentuato la crisi, provocando un tracollo dei redditi superiore alle attese prevalenti. Gli stessi fautori della “austerità espansiva” adesso riconoscono i loro sbagli, ma il disastro è in larga misura già compiuto.
C’è tuttavia un nuovo errore che le autorità europee stanno commettendo. Esse appaiono persuase dall’idea che i paesi periferici dell’Unione potrebbero risolvere i loro problemi  attraverso le cosiddette “riforme strutturali”. Tali riforme dovrebbero ridurre i costi e i prezzi, aumentare la competitività e favorire quindi una ripresa trainata dalle esportazioni e una riduzione dei debiti verso l’estero. Questa tesi coglie alcuni problemi reali, ma è illusorio pensare che la soluzione prospettata possa salvaguardare l’unità europea. Le politiche deflattive praticate in Germania e altrove per accrescere l’avanzo commerciale hanno contribuito per anni, assieme ad altri fattori, all’accumulo di enormi squilibri nei rapporti di debito e credito tra i paesi della zona euro. Il riassorbimento di tali squilibri richiederebbe un’azione coordinata da parte di tutti i membri dell’Unione. Pensare che i soli paesi periferici debbano farsi carico del problema significa pretendere da questi una caduta dei salari e dei prezzi di tale portata da determinare un crollo ancora più accentuato dei redditi e una violenta deflazione da debiti, con il rischio concreto di nuove crisi bancarie e di una desertificazione produttiva di intere regioni europee.
Nel 1919 John Maynard Keynes contestò il Trattato di Versailles con parole lungimiranti: «Se diamo per scontata la convinzione che la Germania debba esser tenuta in miseria, i suoi figli rimanere nella fame e nell’indigenza […], se miriamo deliberatamente alla umiliazione dell’Europa centrale, oso farmi profeta, la vendetta non tarderà». Sia pure a parti invertite, con i paesi periferici al tracollo e la Germania in posizione di relativo vantaggio, la crisi attuale presenta più di una analogia con quella tremenda fase storica, che creò i presupposti per l’ascesa del nazismo e la seconda guerra mondiale. Ma la memoria di quegli anni sembra persa: le autorità tedesche e gli altri governi europei stanno ripetendo errori speculari a quelli commessi allora. Questa miopia, in ultima istanza, è la causa principale delle ondate di irrazionalismo che stanno investendo l’Europa, dalle ingenue apologie del cambio flessibile quale panacea di ogni male fino ai più inquietanti sussulti di propagandismo ultranazionalista e xenofobo.  
Occorre esser consapevoli che proseguendo con le politiche di “austerità” e affidando il riequilibrio alle sole “riforme strutturali”, il destino dell’euro sarà segnato: l’esperienza della moneta unica si esaurirà, con ripercussioni sulla tenuta del mercato unico europeo. In assenza di condizioni per una riforma del sistema finanziario e della politica monetaria e fiscale che dia vita a un piano di rilancio degli investimenti pubblici e privati, contrasti le sperequazioni tra i redditi e tra i territori e risollevi l’occupazione nelle periferie dell’Unione, ai decisori politici non resterà altro che una scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall’euro.
 
Promosso da Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo (Università del Sannio), il “monito degli economisti” è sottoscritto da Philip Arestis (University of Cambridge), Wendy Carlin (University College of London), Giuseppe Fontana (Leeds and Sannio Universities), James Galbraith (University of Texas), Mauro Gallegati (Università Politecnica delle Marche), Eckhard Hein (Berlin School of Economics and Law), Alan Kirman (University of Aix-Marseille III), Jan Kregel (University of Tallin), Heinz Kurz (Graz University), Alfonso Palacio-Vera (Universidad Complutense Madrid), Dimitri Papadimitriou (Levy Economics Institute), Pascal Petit (Université de Paris Nord), Dani Rodrik (Institute for Advanced Study, Princeton), Willi Semmler (New School University, New York), Engelbert Stockhammer (Kingston University), Tony Thirlwall (University of Kent).
…ed anche: Georgios Argeitis (Athens University), Marcella Corsi (Sapienza University of Rome), Jesus Ferreiro (University of the Basque Country), Malcolm Sawyer (Leeds University), Sergio Rossi (University of Fribourg), Francesco Saraceno (OFCE, Paris), Felipe Serrano (University of the Basque Country), Lefteris Tsoulfidis (University of Macedonia).
 
 
 
 

Che nell’euro così com’è molte cose non vadano nessuno ormai lo contesta...

Alberto Bagnai, Libero, di ieri (tramite Mauro Ammirati).

Che nell’euro così com’è molte cose non vadano nessuno ormai lo contesta. Il dibattito si sposta su come riformare la moneta unica o come abbandonarla. Quest’ultima opzione suscita grandi timori, non tutti fondati. Prima di parlarne, osservo che il punto dirimente è quello politico, non quello tecnico. Faccio un esempio: per i tedeschi entrare nell’euro ha significato abbandonare una valuta forte, il marco. Perché questo non ha causato panico? Semplicemente perché si era raggiunto un consenso intorno all’idea che l’euro avrebbe comunque portato benefici. Allo stesso modo oggi per gli italiani tornare alla lira significherebbe abbandonare una valuta forte, l’euro. Se però ci si convincesse, a torto o a ragione, dei benefici di un’uscita dall’euro, si creerebbero le condizioni politiche per una transizione senza panico.

Come ho spiegato ne Il tramonto dell’euro, l’obiezione secondo cui l’uscita è impossibile perché i trattati non la prevedono è infondata. La convenzione di Vienna stabilisce che un trattato può essere risolto, anche in assenza di clausole espresse, quando mutino i presupposti in base ai quali esso è stato concluso (è il principio rebus sic stantibus). L’attuale disastro fornisce una base giuridica sufficiente per un recesso. Lo ammette la stessa Bce in un documento del 2009.

Un altro principio è quello della Lex monetae: uno stato sovrano ha il diritto di decidere in quale conio sono definiti i contratti che cadono sotto la sua giurisdizione. Nel nostro codice civile questo principio è disciplinato dagli articoli 1277 e seguenti. L’uscita avverrebbe quindi tramite una ridenominazione in nuove lire dei contratti regolati dal diritto italiano. A quale cambio? L’opzione più semplice da gestire è che si usi un cambio uno a uno. Lo stipendio passerebbe da 1500 euro a 1500 nuove lire, la rata del mutuo da 500 euro a 500 nuove lire, ecc.

Ma allora non cambierebbe niente? No, qualcosa cambierebbe: il passaggio al nuovo conio sarebbe seguito da un riallineamento del cambio sui mercati valutari. Una rivalutazione dei Paesi «forti» e una simmetrica svalutazione della nuova lira, che restituirebbe respiro al nostro export con effetti positivi su reddito e occupazione.

La svalutazione non ci schiaccerebbe sotto il costo delle materie prime? Non è detto. Secondo gli studi più recenti (li trovate nel mio blog, bagnai.org), il riallineamento atteso è dell’ordine del 30%, distribuito lungo l’arco di almeno un anno. Certo, in capo a un anno le materie prime costerebbero un 30% in più. Ma le materie prime sono solo una componente del costo del prodotto finito. Ad esempio, il riallineamento del cambio non influirebbe sul costo del lavoro in valuta nazionale. 

E poi, chiedo, un imprenditore preferisce pagare un po’ di più le materie prime, ma ricominciare a fatturare, o essere «protetto» dalla valuta forte che però gli impedisce di vendere all’estero? I tanti suicidi cui assistiamo danno una risposta fin troppo eloquente.

Nel caso dei carburanti, poi, la componente fiscale è preponderante. Per questo motivo si osserva che solo un terzo di una svalutazione si traduce in un incremento del prezzo alla pompa. Con una svalutazione del 30%, l’incremento atteso del prezzo alla pompa sarebbe di circa il 9%, distribuito in più di un anno (ne abbiamo avuti di maggiori con l’euro).

Secondo gli studi occorre un anno perché il 36% di una svalutazione si trasferisca sui prezzi interni. Ha torto chi dice che se svalutassimo del 30% saremmo tutti più poveri del 30% in una notte! Del resto, da un anno a questa parte l’euro ha guadagnato circa l’8% sul dollaro. Vi sentite molto più ricchi? No, perché la spesa di tutti i giorni non la fate negli Usa, ma in Italia.

D’accordo, si obietta, ma comunque il debito estero andrebbe pagato in valuta forte, e saremmo schiacciati dall’onere del debito! Non è corretto. Solo i contratti regolati dal diritto estero subirebbero questa sorte. Non ricade fra questi la maggior parte dei titoli pubblici. Va bene, ma allora i mercati, penalizzati dalla svalutazione, non ci isolerebbero, rifiutandoci altro credito? Non è detto. Molti avrebbero voglia di tornare a investire in un paese che riprendesse a crescere, e se ora abbiamo bisogno di capitali esteri è perché l’austerità di Monti e Letta ha distrutto reddito, risparmio e produttività degli italiani. 

Ma (si obietta) la «liretta» sarebbe attaccata dalla speculazione! Siamo proprio sicuri? Quanto più la lira perdesse di valore, tanto più le merci italiane diventerebbero a buon mercato. Le banche centrali dei nostri concorrenti starebbero quindi ben attente a evitare un eccessivo deprezzamento della nuova lira.

Il discorso andrebbe certo approfondito, ma una cosa spero emerga: viste alla luce della razionalità economica, molte obiezioni sollevate per incutere terrore agli elettori perdono vigore. È giunta l’ora che la lucidità e la valutazione dell’interesse del Paese prevalgano sull’emotività e su un malinteso «sogno» europeo.

di Alberto Bagnai
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Beppe Grillo, non hai capito cos’è il debito pubblico, devi capirlo

Published on settembre 22nd, 2013 | by Redazione
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Beppe Grillo, non hai capito cos’è il debito pubblico, devi capirlo


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Anche oggi Paolo Barnard ha lanciato dal suo sito un’altro messaggio rivolto a Beppe Grillo e al Movimento Cinque Stelle e noi lo rilanciamo da qui.

Beppe, leggi i punti sotto:

1) Il debito pubblico è un numero registrato sui computer del Ministero del Tesoro. E’ il disavanzo di ogni anno assommato, cioè la somma di tutti i deficit di bilancio del Tesoro italiano di ogni anno passato. Un numero nei computer del Ministero del Tesoro.

2) Se esiste un debito, ci deve essere per forza un credito, mi segui? Questo è fuori dubbio. Il Ministero del Tesoro devi dei soldi a chi gli ha comprato il debito. Chi gliel’ha comprato sono cittadini e aziende italiani e stranieri. Quindi i cittadini e aziende italiani e stranieri hanno un CREDITO verso il Ministero del Tesoro, NON UN DEBITO. Quindi la favoletta dei media secondo cui a causa del debito pubblico “ogni cittadino italiano deve X soldi allo Stato ecc. ecc.” è totalmente falsa. Cittadini e aziende italiani e stranieri hanno un CREDITO, NON UN DEBITO. Il debito ce l’hanno i computer del Ministero del Tesoro.

3) Gli interessi che il Ministero del Tesoro paga sul suo debito, sono di nuovo il credito dei cittadini e aziende italiani e stranieri che li ricevono dal Tesoro. Non sono un ulteriore debito di cittadini e aziende italiani e stranieri.

4) Quindi se tu vuoi ristrutturare il debito del Tesoro italiano, e se vuoi ridurre drasticamente gli interessi su quel debito, tu automaticamente RIDUCI IL CREDITO di cittadini e aziende italiani e stranieri di una montagna di soldi. Cioè, TU LI TASSI DI UNA MONTAGNA DI SOLDI. E questo non va bene per l’economia, perché saranno tutti soldi che non verranno più spesi, e quindi colpiranno tutto il circuito economico, con vendite, assunzioni e licenziamenti. Lo capisci Beppe?

5) L’unico motivo al mondo per cui il debito del Tesoro, cioè credito di cittadini e aziende italiani e stranieri, è un problema per l’Italia, è che oggi è denominato in una moneta che i computer del Ministero del Tesoro e della Banca d’Italia non possono più emettere liberamente, perché è di altri, cioè appartiene alla BCE e ai mercati di capitali privati. Parlo dell’euro. Quindi Beppe il problema NON E’ IL DEBITO DEL TESORO, ma il fatto che esso e’ denominato in una moneta che l’Italia PRENDE IN PRESTITO DAI MERCATI DI CAPITALI PRIVATI, UNA MONETA CHE AI MERCATI PRIVATI DEVE RESTITUIRE A TASSI NON DECISI DALL’ITALIA, E CHE NON PUO’ PIU’ EMETTERE SENZA PROBLEMI, COME FANNO GIAPPONE O USA.

6) Gli USA non pareggiano il loro debito del Tesoro americano da 135 anni, e non sono mai falliti, hanno tassi bassissimi e inflazione bassa. Perché? Perché il dollaro è di loro proprietà, lo creano dal nulla e NON HANNO MAI PROBLEMI A RIPAGARE IL DEBITO E GLI INTERESSI, interessi di 395 miliardi di dollari all’anno. Beppe, il problema non è il debito né gli interessi, è che l’euro NON E’ DELL’ITALIA.

Beppe, devi capire le basi di macroeconomia dello Stato.

Tuo sempre collaborativo Paolo Barnard e Mosler Economics Modern Money Theory.



http://www.sicilia-memmt.info/?p=902#sthash.13urjqCf.gbpl 
 

giovedì 12 settembre 2013

Solo con la forza dello SPIRITO DI SOPRAVVIVENZA riesco a credere (o, meglio, volerci credere, sperarci...) alle parole di Letta & C. in merito all'avvenuta fine della crisi e conseguente inizio della ripresa, per ora ripresina...ma pur sempre ripresa (perlomeno fine della discesa)...

Solo con la forza dello SPIRITO DI SOPRAVVIVENZA riesco a credere (o, meglio, volerci credere, sperarci...) alle parole di Letta & C. in merito all'avvenuta fine della crisi e conseguente inizio della ripresa, per ora ripresina...ma pur sempre ripresa (perlomeno fine della discesa)...
Con la mente razionale (da ragioniere, quale sono) - purtroppo - DEVO DIRE CHE SONO SOLO CAZZATE, FESSERIE, STUPIDAGGINI, FUMO NEGLI OCCHI, INSOMMA.... PURTROPPO NON CI SARA' NESSUNA RIPRESA O RIPRESINA, SI ANDRA' SEMPRE PEGGIO, DIVENTEREMO SEMPRE PIU' POVERI E DISPERATI, I RICCHI DIVENTERANNO SEMPRE PIU' RICCHI ED I POVERI SEMPRE PIU' POVERI, PURTROPPO, LA CLASSE MEDIA E' GIA' SCOMPARSA VERSO IL BASSO E SEMPRE DI PIU' COSI' SARA'...
E TUTTO CIO' FINCHE' RESTEREMO NELL'EURO....
CONTINUANDO A RESTARE NELL'EURO MALEDETTO, NESSUN COLORE POLITICO POTRA' AIUTARCI, SIA CHIARO...!!!
SALVATORE BRUNO BOSSIO


http://www.change.org/it/petizioni/al-nuovo-governo-italiano-uscita-dall-euro-e-riconquista-della-sovranita-monetaria-e-parlamentare#supporters


https://www.facebook.com/notes/salvatore-bruno-bossio/solo-con-la-forza-dello-spirito-di-sopravvivenza-riesco-a-credere-alle-parole-di/4681122805352




giovedì 5 settembre 2013

ECCO L’ULTIMA MALEFATTA DEL NOSTRO GOVERNO LETTA: Slot machines, sanatoria fiscale scontatissima!!!

AMICI!

ECCO L’ULTIMA MALEFATTA DEL NOSTRO GOVERNO LETTA:

NELLO STESSO DECRETO LEGGE (DI ALCUNI GIORNI FA) CHE HA ABOLITO LA PRIMA RATA DELL’I.M.U. ED HA INDIVIDUATO LE RELATIVE COPERTURE DEL MANCATO INTROITO (ARRIVANDO A PREVEDERE, NEL CASO IN CUI ESSE NON DOVESSERO RIVELARSI SUFFICIENTI, TRA L’ALTRO, LA RIDUZIONE DEI FONDI PER LA LOTTA ALL’EVASIONE FISCALE…), E’ CONTENUTO UN VERO E PROPRIO “CONDONO FISCALE” (SANATORIA FISCALE) PER LE 10 AZIENDE DI SLOT MACHINES CHE, COME ACCERTATO DALLA CORTE DEI CONTI, HANNO CAUSATO AL FISCO, GLOBALMENTE, UN DANNO ERARIALE DI BEN DUE MILIARDI DI EURO (QUASI QUANTO L‘INTERO IMPORTO DELLA PRIMA RATA I.M.U. SULLE PRIME-CASE, PER RIMPIAZZARE IL QUALE SI SONO ARROVELLATI PER MESI E MESI!)…

EBBENE, E’ PREVISTO IN DETTO DECRETO CHE DETTE 10 AZIENDE PAGHINO, GLOBALMENTE SOLI 600 MILIONI DI EURO, CIRCA IL 30% DEL DOVUTO…!!!

MA ALLORA, QUEI POVERI DISGRAZIATI CHE DEVONO PAGARE AD EQUITALIA (QUINDI ALLO STATO) - PER ESEMPIO - 100 MILA EURO, PERCHE’ NON POSSONO CORRISPONDERNE SOLTANTO 30 MILA, DI EURO, PER ESEMPIO!!??

ADDI’ 05/09/2013.

S.RE BRUNO BOSSIO




https://www.facebook.com/notes/salvatore-bruno-bossio/ecco-lultima-malefatta-del-nostro-governo-letta-slot-machines-sanatoria-fiscale-/4649540335810


https://www.facebook.com/notes/salvatore-bruno-bossio/il-legislatore-in-italia-governo-e-presidente-della-repubblica-che-ha-controfirm/4645192027105




 

martedì 3 settembre 2013

Keynes sull’assurdità dei sacrifici: “La riduzione della spesa statale è una follia oltraggiosa”

Keynes sull’assurdità dei sacrifici: “La riduzione della spesa statale è una follia oltraggiosa”

Una conversazione radiofonica tra Keynes e Sir Josiah Stamp sulla stupidità dei governi nazionali nell’imporre sacrifici. Il dialogo fu trasmesso dalla BBC il 4 gennaio 1933. Sebbene siano passati 80 anni da allora, questa intervista risulta di straordinaria attualità e dimostra come le idee sbagliate siano così dure a morire. 
Keynes, adottando l’approccio macroeconomico, smonta una per una le tesi del partito dell’austerità, in particolare quella per cui lo Stato deve risparmiare (come farebbe una famiglia) per ripagare i propri debiti, ma anche l’idea tipicamente neoclassica che dalla crisi si possa uscire grazie all’azione individuale nel libero mercato. Se qualcuno se lo chiedesse, nell’anno in cui Keynes rilasciava questa intervista il debito pubblico britannico sfiorava il 180% sul Pil. Il testo è stato pubblicato da Manifestolibri (1996). 

Stamp: … leggiamo continuamente sui giornali, credo restando noi stessi confusi, tutte queste controversie sullo spendere e sul risparmiare. A che conclusioni pensi che il pubblico sia giunto in merito? Ritieni che tutte queste discussioni abbiano fatto emergere dei punti particolari, rendendoli chiari, o è tutto così confuso come all’inizio?
Keynes: La mia impressione è che l’umore della gente stia cambiando. C’era un bel po’ di panico circa un anno fa. Ma non è forse vero che ora ci si sta rendendo conto abbastanza generalmente che la spesa di un uomo è il reddito di un altro uomo? Comunque, questa mi sembra essere la verità fondamentale, che non deve mai essere dimenticata. Ogni volta che qualcuno taglia la sua spesa, sia come individuo, sia come Consiglio Comunale o come Ministero, il mattino successivo sicuramente qualcuno troverà il suo reddito decurtato; e questa non è la fine della storia. Chi si sveglia scoprendo che il suo reddito è stato decurtato o di essere stato licenziato in conseguenza di quel particolare risparmio, è costretto a sua volta a tagliare la sua spesa, che lo voglia o meno.
S.: Ciò significa che egli riduce il reddito di un secondo uomo, e che qualcun altro rimarrà senza lavoro.
K.: Sì, questo è il guaio. Una volta che la caduta è iniziata, è difficilissimo fermarla.
S.: Un momento. Osserviamo il risparmio di un Ministero o di un individuo, e consideriamo il suo effetto. Un paese o una città, proprio come un individuo, debbono vivere nei limiti delle loro risorse o si troverebbero in grave difficoltà se provassero a spingersi oltre. Molto presto intaccherebbero il loro patrimonio.
K.: Ci può essere solo un obiettivo nel risparmiare, ed è esattamente quello di sostituire una spesa con un altro e più saggio tipo di spesa.
S.: Sostituire! Questo mi fa comprendere il punto. Ad esempio, se il Governo o le autorità locali risparmiassero per ridurre le imposte o i saggi di interesse e permettessero agli individui di spendere di più; o se gli individui spendessero meno in consumi, per usare essi stessi il denaro nella costruzione di case o di fabbriche, o per prestarlo ad altri a tale scopo. Non servirebbe tutto ciò ad aggiustare le cose?
K.: Ma, caro Stamp, è questo che sta accadendo? Ho il sospetto che le autorità spesso risparmino senza ridurre i tassi di interesse o le imposte, e senza passare il potere di acquisto aggiuntivo agli individui. Ma anche quando il singolo riceve il potere di acquisto aggiuntivo, di solito sceglie la sicurezza o, quanto meno, pensa che sia virtuoso risparmiare e non spendere. Ma non sono veramente questi risparmi, tesi a far abbassare i saggi e le imposte, che sono al centro delle mie polemiche. Sono piuttosto quelle forme di risparmio che comportano un taglio della spesa, nei casi in cui quest’ultima dovrebbe essere naturalmente coperta con il debito. Perché in questi casi non c’è alcun vantaggio connesso col fatto che il contribuente avrà di più, a compensare la perdita di reddito dell’individuo che subisce il taglio.
S.: Allora, ciò che intendiamo realmente è che, salvo il caso in cui la mancata spesa pubblica venga bilanciata da una spesa personale aggiuntiva, ci sarà troppo risparmio. Dopo tutto, il normale risparmio è solo un differente tipo di spesa, trasmessa a qualche autorità pubblica o alle imprese, per produrre mattoni o macchinari. Il risparmio equivale a più mattoni, la spesa a più scarpe.
K.: Sì, questo è il problema in generale. A meno che qualcuno stia effettivamente usando il risparmio per i mattoni o per qualcosa di simile, le risorse produttive del paese vengono sprecate. Insomma il risparmio non è più un altro tipo di spesa. Ecco perché dico che la deliberata riduzione di investimenti utili, che dovrebbero normalmente essere attuati con il debito, mi sembra, nelle attuali circostanze, una follia e, addirittura, una politica oltraggiosa.
S.: La difficoltà sta nell’individuare ciò che tu chiami «investimenti utili normali».
K.: Al contrario. Il Ministro della Sanità, se sono ben informato, sta disapprovando praticamente tutte le normali richieste delle autorità locali di indebitarsi. Ho letto, per esempio, in un giornale – anche se non posso garantire i dati di persona – che un questionario spedito al Consiglio Nazionale delle Imprese Edili mostra che qualcosa come 30 milioni di sterline in lavori pubblici sono stati sospesi come risultato della campagna nazionale per il risparmio. La si dovrebbe chiamare «campagna nazionale per l’intensificazione della disoccupazione»!
S.: Per quale ragione si sono spinti fino a questo punto? Perché stanno facendo questo?
K.: Non posso immaginarlo. È probabilmente l’eredità di qualche decisione presa in un momento di panico molti mesi fa, che qualcuno ha dimenticato di invertire. Pensa a quello che significherebbe per lo stato d’animo della nazione, e in termini umani, se avessimo anche solo un quarto di milione di occupati in più. E non sono sicuro che le ripercussioni della spesa si fermerebbero a quella cifra.
S.: Sono piuttosto suscettibile per quanto riguarda gli interventi governativi. Comunque, prendersela con un Ministero, che lo meriti o no, è una cosa completamente diversa dall’incitare gli individui a spendere di più. Anche se una sollecitazione a questi ultimi potrebbe sembrare una cosa sciocca e pericolosa; sciocca a causa della riduzione dei loro redditi, che potrebbe rendere una spesa superiore insopportabile; pericolosa perché, se si inizia con l’incoraggiare le persone a essere imprudenti e a rinunciare alle loro abitudini di frugalità, non si sa dove si va a finire.
K.: Sono pienamente d’accordo. Non è l’individuo il responsabile, e non è quindi ragionevole attendersi che il rimedio venga dall’azione individuale. Ecco perché pongo così tanto l’accento sull’intervento delle pubbliche autorità. Sono loro che debbono avviare il processo. Non ci si deve aspettare che gli individui spendano di più, quando alcuni di loro stanno già indebitandosi. Non ci si può aspettare che gli imprenditori procedano a degli investimenti aggiuntivi, quando stanno già subendo perdite. È la comunità organizzata che deve trovare modi saggi per spendere e avviare il processo.
S.: Voglio affrontare la questione anche dall’altro lato. Al fine di conservare l’abitudine individuale alla parsimonia, non è necessario che le pubbliche autorità sentano la loro responsabilità in questa direzione? Se questa abitudine, così utile nella vita individuale, deve recare giovamento alla comunità, è essenziale che si trovino modi utili di usare il denaro risparmiato.
K.: Sì, questo è ciò che dico. E inoltre, quello della diminuzione dell’attività, e quindi del reddito nazionale, non è un modo incredibilmente miope in cui cercare di pareggiare il bilancio?
S.: Bene, lasciando da parte qualsiasi questione complessa riguardante il debito nazionale, mi sembra che tutto questo riguardi comunque il Ministro delle Finanze in due modi. Innanzi tutto, deve far fronte alle indennità di disoccupazione per gli uomini licenziati, e poi deve tener conto che il gettito delle imposte dipende dal reddito degli individui o dalle loro spese. Cosicché tutto ciò che riduce sia il reddito che le spese degli individui riduce il gettito delle imposte. E se si subisce una diminuzione dal lato delle entrate e un incremento dal lato delle uscite, si deve trovare un rimedio. Un bilancio squilibrato distrugge infatti il nostro credito, anche se c’è una differenza tra un periodo normale e uno anomalo.
K.: Ma Stamp, non si potrà mai equilibrare il bilancio attraverso misure che riducono il reddito nazionale. Il Ministro delle Finanze non farebbe altro che inseguire la sua stessa coda. La sola speranza di equilibrare il bilancio nel lungo periodo sta nel riportare le cose nuovamente alla normalità, ed evitare così l’enorme aggravio che deriva dalla disoccupazione. Per questo sostengo che, anche nel caso in cui si prende il bilancio come metro di giudizio, il criterio per giudicare se il risparmio sia utile o no è lo stato dell’occupazione. In una guerra, per esempio, tutti sono al lavoro, e talvolta anche attività importanti e necessarie non vengono svolte. Allora se si riduce un tipo di spesa, una spesa alternativa e più saggia la sostituirà.
S.: La stessa cosa accadrebbe se il governo stesse attuando un grande progetto edilizio e un programma di risanamento delle aree degradate.
K.: Sì, o di costruzione di altre ferrovie. O stesse bonificando altre terre, o ci fosse un’industria in rapida espansione a causa di nuove invenzioni, o qualsiasi altra ragione di questo tipo.
S.: Ma se, come accade oggi, una metà della forza-lavoro e degli impianti del paese sono inattivi, ciò indica che se un tipo di spesa viene ridotto, essa non sarà rimpiazzata da una spesa alternativa più saggia. Significa che niente prenderà il suo posto: nessuno sarà più ricco e tutti diverranno più poveri.
K.: Trovo che siamo d’accordo più di quanto pensassimo. Ma molte persone ritengono oggi che persino le spese praticabili costituiscano una vera sciocchezza. Quando il Consiglio della Contea decide la costruzione di case, il paese sarà più ricco anche se le case non garantiranno alcuna rendita. Se non si costruiscono quelle case, non avremo nulla da mostrare fatta eccezione per il maggior numero di uomini che ricevono un sussidio.

 
 
 
 
 
 

domenica 1 settembre 2013

“Il sabato del villaggio” del grande Leopardi e la schietta filosofia del mio amico "Ciclamino" di San Pietro in Guarano (CS).

“Il sabato del villaggio” del grande Leopardi e la schietta filosofia del mio amico "Ciclamino" di San Pietro in Guarano (CS).

Ne’ “Il sabato del villaggio” il Leopardi ci insegna che - appunto - il SABATO è meglio del giorno di festa immediatamente seguente, la DOMENICA, in quanto CI SI PREPARA PER IL GIORNO DI FESTA (GIORNO CHE, UNA VOLTA GIUNTO, NON PORTERA’ GIOIA, MA, PURTROPPO, SI RIVELERA’ DOLOROSO E PRIVO DI PIACERE…)…

ECCONE ORA UNA DIMOSTRAZIONE PRATICA NELLE PAROLE CHE IERI MI HA PRONUNCIATO IL MIO AMICO “CICLAMINO” DI SAN PIETRO IN GUARANO (CS), AL BAR DI “LILLINO”, MENTRE GUSTAVAMO ASSIEME IL CAFFE’ (DA ME OFFERTOGLI):

“Per me il giorno più brutto è il primo non festivo del mese, cioè il giorno di pagamento della “ricca” pensione, mia e di mia moglie, per il fatto che lo stesso giorno onoro - giustamente - la fiducia concessami dai negozianti che mi hanno fatto credito durante il mese appena finito, e - pertanto - pago tutti i debiti accumulati e resto subito - quasi - di nuovo senza denaro”…

Ora, amici e conoscenti di Fb, giudicate Voi se il grande “Ciclamino” - nella sua schietta semplicità della dura vita reale di tutti i giorni - certamente non ovattata come quella dei nostri “amati Governanti” - non ha ragione, non si sia rivelato anch’egli un “poeta della vita”, un filosofo, come il grande, triste, gobbo, Giacomo Leopardi (che le nostre scuole ci hanno imparato a conoscere ed apprezzare)…

Addì domenica 1° settembre 2013
Salvatore Bruno Bossio


https://www.facebook.com/notes/salvatore-bruno-bossio/il-sabato-del-villaggio-del-grande-leopardi-e-la-schietta-filosofia-del-mio-amic/4633414892684